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Come gestire la Pubblica Amministrazione? I Public Service Agreement britannici

Nel Regno Unito, tra 1998 e 2010, i Public Service Agreement (PSA) si sono dimostrati uno strumento efficace per la gestione della pubblica amministrazione attraverso una chiara definizione degli obiettivi da raggiungere e un monitoraggio accurato dei risultati raggiunti. Questo sistema, seppur nominalmente abolito nel 2010, è stato in parte mantenuto dai governi successivi e ha consentito di indirizzare maggiormente l’operato di ministri e dirigenti pubblici verso obiettivi concreti e coerenti con quelli del governo. I difetti principali dei PSA erano la mancanza di incentivi monetari per chi raggiungeva i risultati e la difficoltà da parte dei ministeri di allineare l’operato delle loro sotto-unità agli obiettivi generali indicati dal governo.

I Public Service Agreement

Fin dalla loro nascita nel 1998, quando Tony Blair era Primo Ministro e Gordon Brown Cancelliere dello Scacchiere (ossia ministro del Tesoro), i PSA erano basati su “accordi” (per quanto informali) tra il ministero del Tesoro, che metteva a disposizione risorse, e i vari ministeri, che le ricevevano. Questi accordi informali contenevano una lista di risultati concreti e misurabili che i ministeri dovevano raggiungere entro un orizzonte temporale fissato, solitamente di medio periodo (da 2 a 4 anni, ma con obiettivi intermedi annuali). Tali risultati erano naturalmente in linea con il programma e le priorità del governo. In questo senso, i PSA si configuravano come accordi tramite i quali il Tesoro, e implicitamente il Primo Ministro, chiedeva ai ministeri value for money, ovvero risultati tangibili. La lista dei PSA, passata da oltre 600 punti nel 1998 a soli 30 nel 2007, conteneva quindi degli indicatori di risultato il cui raggiungimento doveva idealmente diventare la priorità dell’operato di ministri e dirigenti pubblici.
I PSA erano esposti al rischio di portare i ministeri a trascurare le aree non incluse tra gli obiettivi. Per ovviare a questo i PSA tendevano a essere o talmente dettagliati (come quelli del 1998 con 600 obiettivi) o talmente generali (come i 30 obiettivi del 2007) da toccare, direttamente o indirettamente, quasi ogni ambito dell’operato della PA britannica. In pratica, infatti, il governo elaborava ogni due anni circa questa lista abbastanza onnicomprensiva di obiettivi concreti legati al proprio programma e alle problematiche generali individuate (ad esempio “ridurre in 5 anni l’assenteismo scolastico dell’8 per cento”), assegnando ogni target a uno o più ministeri e dipartimenti, che diventavano quindi responsabili del suo raggiungimento.[2] In seguito, questi organizzavano internamente lo sforzo necessario a raggiungerli, spesso selezionando obiettivi più granulari per le loro sotto-unità operative. L’idea sottostante a questo processo a cascata era di dare una direzione unitaria all’operato dell’intera PA, con il governo all’apice, che individuava le priorità e allocava le risorse per affrontarle e ciascuna sotto-unità guidata dagli obiettivi provenienti “dall’alto”.

Gli scopi dei PSA erano molteplici

Se da una parte essi avevano una valenza organizzativa per l’esecutivo, il fatto che fossero pubblici e avessero come oggetto l’attuazione del programma di governo li rendeva anche un contributo alla trasparenza sull’operato di ministri e dirigenti. Grazie ai PSA, infatti, la valutazione della performance della PA nel Regno Unito poteva essere basata su indicatori realmente informativi circa le aree di intervento prioritarie e il progresso sulle criticità individuate. Non a caso, i media e il Parlamento si servivano anche dei PSA per esercitare le loro funzioni di controllo sull’operato dell’esecutivo che, a sua volta, grazie al monitoraggio e alla pressione esterna, era più incentivato ad agire sugli aspetti più deboli dell’implementazione dei suoi programmi. Inoltre, il fatto che gli obiettivi fossero oggetto di intenso scrutinio pubblico era un incentivo a fissare target al contempo ragionevoli e ambiziosi.

La situazione in Italia

È almeno dalla riforma Brunetta del 2009 che in Italia si prova a valutare e in parte indirizzare l’operato della PA e dei ministeri in particolare. Gli strumenti previsti dalla riforma, il ciclo della performance e il performance budgeting, in parte sovrapponibili nei contenuti, presentano però delle gravi criticità che, a oltre 10 anni dalla loro introduzione, li rendono più vicini ad adempimenti prettamente formali che a effettivi strumenti di valutazione del lavoro svolto dai ministeri.

 

Fonte> Osservatorio CPI

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