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Crisi demografica e sostenibilità del debito

La crisi demografica rappresenta una delle principali fonti di preoccupazione per la sostenibilità delle finanze pubbliche e il finanziamento del sistema di welfare in molte economie mature. Questo è particolarmente vero per l’Italia, che è già gravata da un elevato debito pubblico e che presenta le peggiori prospettive demografiche tra tutti i principali Paesi europei. Le stime contenute nel Def 2023 catturano bene questo scenario, con un debito pubblico su Pil che, in assenza di interventi, si inerpica fino al 180 per cento entro il 2050 generando seri rischi di sostenibilità finanziaria.
L’andamento del debito pubblico sarà influenzato dal rapido declino demografico e dall’andata in quiescenza nei prossimi vent’anni delle ancor popolose generazioni nate negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso. Purtroppo, mentre le stime sulla crescita economica e sui tassi di interesse nel lungo periodo sono caratterizzate da ampi margini di incertezza, quelle demografiche tendono a essere più affidabili, in quanto basate sulle generazioni attualmente viventi, sulla loro speranza di vita e sui loro comportamenti riproduttivi. Non a caso, il Def conclude che “la transizione demografica è una delle sfide più rilevanti che l’Italia dovrà affrontare nel corso dei prossimi decenni”.
Alla base del brusco peggioramento dei conti pubblici vi è essenzialmente la crisi demografica che colpirà il Paese con particolare vigore nei prossimi decenni. L’indice di dipendenza della popolazione anziana (ossia il rapporto tra la popolazione dai 65 anni in su e la quota di popolazione tra i 20 e i 64 anni) è stimato nel Def al 39 per cento nel 2025 per poi salire al 44 per cento nel 2030, al 50 per cento nel 2035, al 57 per cento nel 2040 fino a raggiungere il 62 per cento nel 2050 e poi ridursi solo lievemente negli anni successivi (è ancora di circa il 60 per cento nel 2070). In più, si ipotizza che continui il processo di crescita della speranza di vita che, entro il 2070, dovrebbe raggiungere gli 87 anni per gli uomini e i 91 per le donne, con tutto quello che questo implica, per esempio, in termini di necessità di assistenza ai non autosufficienti.
l’Italia ha in comune con le altre economie avanzate la sfida di assicurare una buona qualità della vita alle persone che, grazie alla longevità, arrivano in età anziana (con adeguate pensioni, possibilità di cura e assistenza). Quello che però rende più problematica la situazione italiana all’interno del quadro europeo è il fatto che la popolazione in età lavorativa è in più accentuata riduzione.
Le cause di tale riduzione sono diverse, dalla persistente bassa natalità, all’elevata disoccupazione giovanile, al lavoro precario o poca stabile, fattori che incidono mutuamente tra loro in maniera negativa.
Per il futuro dell’Italia e anche per garantire sistemi adeguati di sostegno alle persone, serve un approccio integrato che combini assieme politiche per la natalità con politiche per aumentare i tassi di occupazione, troppo bassi nei confronti internazionali.

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